Anche se in alcuni Paesi europei uno schiaffo dato a un minore, sia pure con finalità educative, è un reato - nel 2011 un consigliere comunale pugliese è stato arrestato a Stoccolma per aver schiaffeggiato in pubblico il figlio - è ancora molo diffusa in Italia la convinzione che uno schiaffo e altre forme di violenza considerate leggere, come lo sculacciare, possano avere una valenza educativa.
Per comprendere quanto sia infondata questa convinzione è sufficiente considerare il suo presupposto implicito. Nessuno sosterrebbe che, in una relazione di coppia, sia lecito schiaffeggiare il proprio partner; ciò è una evidente violenza, e come tale può avere conseguenze penali. Non esiste nessun soggetto che possa essere schiaffeggiato senza conseguenze. Nemmeno un imputato per reati gravissimi può essere schiaffeggiato dal giudice in tribunale, e nemmeno dopo che sia stata accertata la sua colpevolezza. È convinzione diffusa che nessun soggetto può essere sottoposto a qualsiasi forma di violenza, perché ciò va contro la sua dignità.
Si dirà che però un genitore ha una responsabilità educativa, che non esiste in un rapporto di coppia. Ma una persona che sia stata condannata per aver commesso un reato per la Costituzione (articolo 27) dev'essere rieducata e non può subire in alcun modo trattamenti che siano contrari al senso di umanità. Nella realtà carceraria italiana accade purtroppo ben altro, ma si tratta di violazioni della legge che, quando scoperte, possono essere perseguite. La legge fondamentale dello Stato riconosce dunque che la violenza non può avere alcun valore educativo o rieducativo.
Ricorrendo a forme di violenza sul bambino, gli si nega un diritto riconosciuto a tutti gli altri soggetti: il diritto al rispetto del proprio corpo. Il presupposto della pratica dello schiaffo o della sculacciata "educativi" è che il bambino è privo dei diritti di base riconosciuti a tutti gli altri esseri umani.
Questo presupposto impedisce qualsiasi rapporto realmente educativo con il bambino, poiché il rispetto pieno e incondizionato è la base di qualsiasi intervento educativo. E piuttosto bisognerebbe riconoscere al bambino un diritto al rispetto maggiore di quello degli altri soggetti, poiché un bambino si trova in una condizione di fragilità fisica non diversa da quella di soggetti, come i disabili o gli anziani, che riteniamo necessari della massima cura e verso i quali qualsiasi forma di violenza ci appare gravissima.
È inoltre da considerare che i bambini osservano gli adulti e ne imitano il comportamento. Quando un genitore lo picchia, le possibilità sono due: o il genitore resta un modello, e allora il figlio imiterà anche quel comportamento violento (se lo ha fatto la mamma o il papà, perché mai dovrebbe considerarlo sbagliato?), ad esempio picchiando i compagni di scuole; oppure quel gesto squalificherà il genitore, che ai suoi occhi diventerà un modello da non seguire, con conseguenze disastrose sul piano educativo.
Le conseguenze psicologiche di uno schiaffo o una sculacciata su un bambino sono le stesse di un adulto, ma amplificate dal divario fisico esistente tra adulto e bambino (per un adulto, l'equivalente sarebbe essere schiaffeggiato da un gigante): paura, senso di umiliazione, ansia. Queste emozioni possono compromettere il rapporto con i genitori, influendo negativamente sulla forma di attaccamento, e quello con i coetanei, ma possono influire negativamente anche sullo sviluppo del cervello. In una indagine (1) finanziata dal National Institute of Mental Health alcuni ricercatori hanno sottoposto a risonanza magnetica 147 bambini, alcuni dei quali erano stati sottoposti sistematicamente alla pratica dello spanking (la sculacciata). Dall'indagine è emerso che osservando delle immagini contenenti espressioni facciali questi bambini, a differenza degli altri, sviluppavano una risposta cerebrale elevata nelle arie del cervello - la corteccia prefrontale media e laterale (PFC) - che regolano le risposte emotive alle minacce, e ciò in un modo simile a quello di chi è stato sottoposte a forme più gravi di abuso e violenza.
I bambini sottoposti a forme di violenza apparentemente leggeri hanno dunque un rischio maggiore di sviluppare da adulti patologie come ansia e depressione e di avere problemi comportamentali e relazionali.
1. Jorge Cuartas, David G. Weissman, Margaret A. Sheridan, Liliana Lingua, Katie A. McLaughlin, Corporal Punishment and Elevated Neural Response to Threat in Children, in "Child Development", 9 aprile 2021. Url: https://srcd.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/cdev.13565
Testo di Antonio Vigilante. Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. 9 giugno 2024.
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