Erich Fromm

Erich Fromm
Maggiore fortuna, rispetto a quello di Wilhelm Reich, ha incontrato il tentativo di ripensare la psicoanalisi alla luce del marxismo (e al tempo stesso il marxismo alla luce della psicoanalisi) operato dalla Scuola di Francoforte. Con queste espressione si indicano i pensatori legati all'Institut fĆ¼r Sozialforschung (Istituto per la ricerca sociale), creato nel 1923 a Francoforte e di cui assunse la direzione nel 1931 il filosofo Max Horkheimer. Il programma di ricerca della Scuola, precisato dallo stesso Horkheimer, prevede una analisi della societĆ  priva di qualsiasi settorialitĆ , una teoria critica della societĆ  che unisca ricerca empirica e riflessione filosofica. Compito della teoria critica ĆØ quello di mostrare le contraddizioni della societĆ  capitalistica. Gli strumenti per farlo sono, oltre al marxismo (letto come una forma di umanesimo), il pensiero di Hegel, che conta per la scoperta della dialettica, e quello di Freud, liberato dalla accusa di essere una espressione della decadenza della classe borghese e di avere un carattere irrimediabilmente reazionario.
Come giĆ  aveva intuito Reich, la psicoanalisi ĆØ preziosa per smascherare l'azione repressiva della societĆ  borghese sull'individuo, ma solo a condizione che sia essa stessa smascherata, criticata e liberata da ciĆ² che in essa giustifica ed asseconda la repressione sociale. La psicoanalisi, osserva Erich Fromm [pronuncia] (tra i maggiori esponenti della Scuola di Francoforte), intende cambiare le condizioni dell'uomo, ma si limita alle semplici pulsioni sessuali, tralasciando la realtĆ  sociale e politica. “Nei confronti delle diverse realtĆ  dell'esistenza dell'individuo e dei fenomeni sociali inconsci, la maggior parte degli psicoanalisti – e Freud tra questi – erano e sono non meno ciechi di altri studiosi appartenenti alla loro stessa classe sociale”, scrive Fromm. Freud ĆØ un borghese, cosƬ come sono borghesi i maggiori rappresentanti della psicoanalisi. Questo impedisce loro di osservare la societĆ  da un punto di vista critico e di comprendere le cause sociali dei nostri disturbi individuali. 
Un individuo sano per Freud e la psicoanalisi ĆØ in grado di “lavorare e godere”. Questa concezione di salute psichica contiene, in realtĆ , un preciso ideale umano, che corrisponde esattamente all'ideale borghese e capitalistico di un uomo che dedica la propria esistenza al lavoro cercando di raggiungere prestigio sociale e benessere economico, trovando in ciĆ² il proprio godimento. Questo godimento non ĆØ la felicitĆ  che ognuno ha il diritto di cercare anche andando contro la societĆ  e le sue richieste, ma ĆØ la legittima soddisfazione che prova chi ha compiuto i suoi obblighi e doveri sociali. Dal momento che questo ideale viene presentato come la condizione dell'uomo sano, ogni altra scelta rappresenta per Freud non tanto un errore morale e sociale, quanto un disturbo, una nevrosi.

Se dunque, per esempio, – scrive Fromm - una persona decide di aderire a un qualsiasi partito di tendenze radicali, nel far ciĆ² egli rivela di non aver ancora superato il suo odio nei confronti del padre avente origine dal suo complesso edipico; oppure se un individuo si sposa in maniera non confacente alla norma borghese per differenza di etĆ  o di ceto sociale con il proprio partner, o se ancora, in relazione al proprio lavoro e alla propria carriera, non si comporta in maniera corrispondente ai modelli sociali convenzionali e persino se prova a contraddire la teoria freudiana, in tutti questi casi egli non fa che dimostrare di avere dei complessi non risolti e manifesta 'resistenze' se cerca di opporsi a questa diagnosi dell'analista.

Questo atteggiamento per Fromm non ĆØ soltanto reazionario dal punto di vista sociale e politico; esso rende anche meno efficace l'analisi. Un paziente ha bisogno, per aprirsi interamente al proprio analista, di sentirsi da lui accettato, di avvertire che la sua esigenza di felicitĆ  viene compresa a fondo, quale che sia la direzione che essa prende. Ma uno psicoanalista che consideri come nevrosi qualsiasi deviazione dall'ideale individuale borghese e capitalistico non puĆ² realmente comprendere una ricerca della felicitĆ  al di fuori del suo modello e dei suoi tabĆ¹. Un tale analista non puĆ² avere per molti dei suoi pazienti altro che un atteggiamento di tolleranza, che non ĆØ comprensione o accettazione, e ciĆ² verrĆ  percepito dai pazienti, facendo fallire l'analisi o protraendola all'infinito. 
Fromm intende quindi attuare una revisione della psicoanalisi, superandone gli aspetti autoritari e borghesi e dandole un orientamento progressista. La stessa concezione freudiana dell'inconscio va rivista. Per Freud l'inconscio ĆØ individuale. Jung, come abbiamo visto, sostiene l'esistenza di un inconscio collettivo, comune a tutti gli uomini. Fromm parla di inconscio sociale. CiĆ² che la nostra coscienza non accetta, e pertanto rimuove, ĆØ ciĆ² che ĆØ in contrasto con i valori condivisi della societĆ  di cui facciamo parte. Esistono dunque delle pulsioni che un'intera societĆ  rimuove, e che vanno a costituire il suo inconscio.
L'individuo rimuove ciĆ² che ĆØ giĆ  stato rimosso dalla societĆ . Ma perchĆ© lo fa? PerchĆ© si adegua? Per Freud, all'origine c'ĆØ la paura di essere castrato che il bambino vive nel complesso di Edipo. Fromm non considera valida l'interpretazione freudiana del caso del piccolo Hans, che lo ha portato alla elaborazione del complesso di Edipo. A spingere l'individuo ad adattarsi alle richieste sociali ĆØ, invece, la paura dell'isolamento. Questa paura ĆØ per Fromm qualcosa di molto forte, addirittura piĆ¹ forte della sessualitĆ  e della voglia di vivere. Questo dovrebbe condurre alla conclusione pessimistica che un individuo puĆ² accettare qualsiasi degradazione o crudeltĆ , qualsiasi negazione della propria umanitĆ , se ciĆ² ĆØ indispensabile per essere accettato dalla propria societĆ . Le cose in realtĆ  non stanno cosƬ. L'uomo fa parte della propria societĆ , ma ĆØ anche un membro dell'umanitĆ . Se avverte il bisogno di essere accettato, ha anche un altro bisogno: quello di essere un uomo. In una societĆ  in cui, per assurdo, fossero vietate la moralitĆ , l'arte, la bellezza, l'amore, tutto ciĆ² che l'uomo ha di positivo, tutte queste cose finirebbero nell'inconscio. L'inconscio non ĆØ piĆ¹, dunque, il ricettacolo di ogni negativitĆ , ma «rappresenta l'uomo universale, l'uomo totale», con i suoi aspetti bestiali, ma anche con la sua creativitĆ . In una ipotetica societĆ  interamente violenta e volgare, l'inconscio sarebbe il luogo della spiritualitĆ . All'individuo si pone il compito difficile di criticare la societĆ  di cui fa parte ed i suoi tabĆ¹, per appropriarsi di ciĆ² che fa parte in positivo della propria umanitĆ . La ricerca di Fromm intende aiutare l'individuo a compiere questa scelta, ad indirizzarlo verso la meta di una umanitĆ  positiva, di una vita completa, felice, libera. Ma la libertĆ  non ĆØ facile. Essere liberi vuol dire anche essere soli: essere l'origine dei propri pensieri e delle proprie azioni, rispondere in prima persona per i propri errori. Tutto questo non ĆØ facile. Molto piĆ¹ semplice ĆØ rifugiarsi nel conformismo, fare quello che fanno gli altri e pensare come tutti. 
E' in questo modo che si spiegano il fascismo, spiega Fromm in Fuga dalla libertĆ  (1941). I sistemi totalitari hanno una struttura gerarchica che ha il vantaggio di impedire il pensiero autonomo. Ognuno obbedisce ad un superiore, che ĆØ il responsabile delle sue azioni. Ognuno ĆØ inquadrato in un sistema capace di dar senso all'esistenza individuale. Al singolo non si chiede nulla di piĆ¹ dell'obbedienza. Se ci chiediamo come ĆØ stato possibile Auschwitz, ci troviamo di fronte proprio all'obbedienza. Lo sterminio degli ebrei, come tanti altri tragici errori del Novecento, ĆØ stato reso possibile dalla obbedienza di una intera nazione alla volontĆ  di un capo politico. CiĆ² mostra i rischi di ogni sistema gerarchico e aiuta a scoprire il valore della disubbidienza. L'uomo che non obbedisce, che afferma la propria libertĆ  di giudizio e di azione, ĆØ l'uomo che puĆ² salvare il mondo dalla follia collettiva, quella follia che potrĆ  giungere, se non vi sarĆ  qualcuno ad ostacolarla, fino all'autodistruzione dell'umanitĆ . L'uomo contemporaneo, sostiene Fromm in Avere o Essere? (1976), la sua opera piĆ¹ famosa, ĆØ infelice perchĆ© confonde l'essere con l'avere. L'uomo che vive secondo il principio dell'avere cerca la felicitĆ  attraverso il possesso delle cose ed il potere sulle persone. Ad esempio, acquista l'automobile e trae da ciĆ² un piacere particolare, che perĆ² non dura: dopo due anni ne acquista una nuova, per provare nuovamente quel senso di soddisfazione legata al dominio che l'acquisto di un bene prestigioso gli dĆ . Come si puĆ² immaginare, la via dell'avere non porta alla felicitĆ . Essa stabilisce un rapporto tra un soggetto e gli oggetti che possiede, ma si tratta di un rapporto illusorio. Da una parte gli oggetti sono transitori, possono rovinarsi o distruggersi; dall'altra il soggetto puĆ² perdere la capacitĆ  di possederli. L'automobile di lusso che ho acquistato puĆ² venirmi rubata o rovinarsi in seguito ad un incidente; io che ne sono il proprietario posso perdere la capacitĆ  di guidarla a causa di una malattia. Nessuno dunque puĆ² stabilmente possedere nulla. Ci si puĆ² illudere di possedere, perĆ². E si tratta di una illusione pericolosa, perchĆ© rende oggetti noi stessi. Se mi definisco come possessore di cose, alla fine sono le cose a possedere me, perchĆ© tutto ciĆ² che sono dipende da loro. 
La via dell'avere ĆØ la via della morte, perchĆ© stabilisce rapporti tra un soggetto-cosa ed un oggetto-cosa. La via dell'essere ĆØ l'unica che puĆ² rendere felici. Se ĆØ relativamente facile descrivere la via dell'avere, perchĆ© si tratta di una relazione tra cose, e le cose sono facilmente descrivibili, ĆØ tutt'altro che facile descrivere l'essere. Qui, per Fromm, si toccano i limiti della psicologia. Quello che un individuo ĆØ nella sua realtĆ  piĆ¹ profonda non puĆ² davvero essere compreso. Ognuno resta, nella sua dimensione piĆ¹ profonda, un mistero per gli altri; ognuno ĆØ unico ed irripetibile. E' possibile tuttavia indicare alcune caratteristiche comuni di coloro che hanno preso la via dell'essere. In primo luogo, si distinguono per l'assoluta libertĆ  dai beni di questo mondo. Non cercano il potere, il denaro, il possesso. Questo non vuol dire che siano privi di potere. Hanno un potere diverso, che nasce dall'interioritĆ . E' il potere di chi ĆØ indipendente, ragionevole, creativo. La via dell'essere ĆØ caratterizzata da una attivitĆ  non alienata. Il nostro ĆØ il tempo dell'attivitĆ , e tuttavia pochi sono in grado di compiere una vera attivitĆ . In genere confondiamo l'essere attivi con l'essere indaffarati. Siamo realmente attivi, sostiene Fromm, quando siamo consapevoli di essere noi la sorgente della nostra azione. Non siamo realmente attivi se, ad esempio sul lavoro, ripetiamo in modo inconsapevole dei comportamenti standardizzati. La vera attivitĆ  ĆØ spontanea e produttiva, anche se non produce nessun bene concretamente osservabile. Leggere una poesia comprendendola a pieno o anche solo guardare un albero in modo profondo, diverso dallo sguardo distratto che comunemente rivolgiamo a questi esseri viventi, sono attivitĆ  altamente produttive, anche se non portano alla creazione di beni consumabili o utili. La via dell'essere porta al desiderio di condivisione e di dono, cosƬ come quella dell'avere stabilisce un conflitto con gli altri, che sono concorrenti nel possesso dei beni. La via dell'essere ĆØ, in altri termini, la via della vita e dell'amore. Entrambe le modalitĆ , le vie esistenziali, fanno parte della natura umana, anche se la prima ha preso il sopravvento nelle moderne societĆ  industriali. Fromm sostiene la possibilitĆ  della creazione di una nuova societĆ , una societĆ  dell'essere dopo quella capitalistica dell'avere. Crollato il mito della CittĆ  Terrena del Progresso, che ĆØ degenerata in una Torre di Babele che sta creando il caos, bisogna per Fromm edificare la CittĆ  dell'Essere, che sarĆ  la sintesi della spiritualitĆ  del Medioevo e del razionalismo e della scienza dell'etĆ  moderna. CiĆ² potrĆ  avvenire solo riducendo drasticamente il possesso di beni e la brama di possesso, vale a dire ponendo un argine al dilagare del consumismo. Nelle societĆ  industriali e consumistiche si creano ad arte una quantitĆ  di bisogni artificiali, per soddisfare i quali occorre acquistare i beni prodotti dall'industria. Questi bisogni vanno attentamente vagliati, sostiene Fromm, per giungere ad un consumo sano, che soddisfi quei bisogni che sono vitali e irrinunciabili. La pubblicitĆ  dovrĆ  essere messa al bando, cosƬ come il lavaggio del cervello operato dai politici con la propaganda. La CittĆ  dell'Essere ĆØ una democrazia industriale in cui la democrazia non ĆØ apparente, ma resa viva e reale dalla partecipazione politica degli individui. Per facilitare questa partecipazione, il potere viene decentrato e localizzato. Nessuno morirĆ  di fame, grazie all'introduzione di un reddito minimo garantito, si combatterĆ  la povertĆ  nei paesi del Terzo Mondo e si libererĆ  la donna dal dominio patriarcale. Si tratta di proposte che rappresentano il tentativo di pensare una societĆ  alternativa tanto al modello capitalistico che a quello comunistico. A distanza di trent'anni, molte di queste proposte tornano nei movimenti di contestazione della globalizzazione economica: ĆØ il caso, ad esempio, del reddito minimo di inserimento, oppure della limitazione dei consumi in vista di una vera e propria decrescita economica, sostenuta da molti gruppi della sinistra antagonista e pacifista.

Bibliografia

Avere o Essere?, Fuga dalla libertĆ  e L'arte di amare (le tre opere piĆ¹ popolari di Fromm) sono disponibili in edizione economica Mondadori. Per una introduzione al suo pensiero, ĆØ utile R. Funk, Erich Fromm. La vita e il pensiero (ErreEmme, Pomezia 1997).

Links

International Foundation Erich Fromm (in italiano)

Torna al percorso: La psicoanalisi oltre Freud

Nuova Vecchia