Colui che i giornalisti avrebbero chiamato “il Gandhi siciliano” nacque a
Sesana (oggi in Slovenia) nel 1924, figlio di un ferroviere italiano e di una
donna slovena. Dopo una infanzia ed un’adolescenza fatte di letture
appassionate e di contatto con la natura ed un arresto da parte dei fascisti
si iscrive alla facoltĆ di architettura di Milano. Ć uno studente brillante,
avviato ad una carriera di sicuro successo, quando una crisi religiosa lo
induce ad abbandonare tutto ed a raggiungere la comunitĆ di
Nomadelfia, fondata a Fossoli
da don Zeno Saltini per ospitare i bambini orfani della guerra.
A Nomadelfia riesce a realizzare il proprio ideale di dedizione totale agli
ultimi, ma dopo un po’ avverte il rischio di chiudersi in una comunitĆ
perfetta, di allontanarsi dal mondo esterno e dai suoi problemi. Di qui la
decisione di lasciare la comunitĆ e di raggiungere, nel 1952, Trappeto, un
villaggio in provincia di Palermo in cui era stato da adolescente al seguito
del padre ferroviere. Qui incontra una realtĆ di povertĆ assoluta. Il suo
progetto, all’inizio confuso, ĆØ quello di contribuire come puĆ² al
miglioramento della vita comune. A questo scopo crea il Borgo di Dio, un asilo
per accogliere i bambini piĆ¹ poveri della comunitĆ , ed inizia a fare opera di
sensibilizzazione tra la popolazione.
La tragica morte per fame di un bambino, evento tutt’altro che raro in quel
contesto, lo colpisce profondamente e lo induce ad una forma di protesta
estrema:
si rifiuta di mangiare fino a
quando i politici locali non stanzieranno le somme necessarie per affrontare i
problemi del villaggio. Dopo otto giorni di digiuno, i politici si impegnano a
stanziare una somma anche superiore a quella richiesta.
A Trappeto Dolci avvia un lavoro di inchiesta sociologica e di denuncia,
raccogliendo nel volume
Fare presto (e bene) perchƩ si muore (1954) la voce dei poveri del
paese e documentando le loro terribili condizioni di vita. Per meglio
inquadrare i problemi della zona si sposta quindi nel vicino paese di
Partinico, dove continua il suo lavoro di inchiesta con
Banditi a Partinico (1956) e si occupa del problema della
disoccupazione.
Per rivendicare il diritto al lavoro organizza nel 1956 lo sciopero alla
rovescia, portando i disoccupati del paese a lavorare per sistemare una strada
di campagna abbandonata. Per questa iniziativa viene arrestato e condotto
all'Ucciardone. Nel processo che ne segue intervengono a suo favore alcuni dei
maggiori intellettuali dell’epoca (Carlo Levi, Elio Vittorini, Norberto Bobbio
tra gli altri); il processo ha grande risonanza sui giornali nazionali ed
internazionali. Alla fine Dolci verrĆ condannato, sia pure con le attenuanti,
ma il clamore del processo imporrĆ all’attenzione dell’opinione pubblica la
sua lotta nonviolenta.
Nel 1957 gli viene conferito il Premio Lenin per la pace, equivalente
comunista del Premio Nobel. Con i soldi del premio fonda il Centro Studi e
Iniziative per la Piena Occupazione, con lo scopo di studiare le possibilitĆ
di sviluppo nella zona. Intanto continua il lavoro di inchiesta-denuncia, con
Inchiesta a Palermo (1956) e Spreco (1960).
Nel 1962 avvia la lotta nonviolenta per ottenere la costruzione di una diga
sul fiume Jato, una opera pubblica indispensabile per lo sviluppo nella zona,
osteggiata dai piccoli mafiosi locali che hanno il controllo del mercato
dell’acqua. Dopo un nuovo digiuno ad oltranza ottiene l’avvio dei
lavori.
Nel 1966 raccoglie in Chi gioca solo una vasta documentazione
riguardante i rapporti tra il potente politico democristiano siciliano
Bernardo Mattarella ed alcuni esponenti della mafia. Viene processato e
condannato per diffamazione, dopo aver rinunciato a difendersi dal momento che
il tribunale si era rifiutato di ascoltare i testimoni a sua difesa.
Nel 1968 un terremoto sconvolge la valle del Belice. Dolci interviene con il
suo gruppo ormai ampio di collaboratori ed operatori sociali per dare sostegno
immediato alla popolazione, ma si occupa anche della ricostruzione, elaborando
con il contributo di tecnici un piano dettagliato che viene discusso con la
gente dei paesi. Quindi avvia cinquanta giorni di pressione nonviolenta per
denunciare i ritardi nella ricostruzione, ma senza esito positivo.
Agli inizi degli anni Settanta si dedica al progetto di un centro educativo
innovativo, da realizzare nella contrada di
Mirto. Per mettere a punto il
metodo del centro educativo organizza un seminario internazionale, al quale
partecipa anche Paulo Freire. Il centro educativo di Mirto viene inaugurato
nel 1975. La mancanza di fondi ha reso possibile una realizzazione solo
parziale dell’edificio progettato. E le difficoltĆ finanziarie, insieme ai
problemi di accesso alla scuola per via di un ponte pericolante, rendono
difficoltosa la vita del centro educativo. Nel 1982 Mirto ottiene il
riconoscimento di scuola statale sperimentale, avviandosi ad una inesorabile
normalizzazione.
Negli ultimi anni Dolci ha approfondito le implicazioni filosofiche del metodo
della maieutica reciproca, da lui messo a punto fin dagli anni Cinquanta, in
una quantitĆ di libri non tutti pienamente riusciti, ed ha cercato di
diffonderlo nella scuola pubblica, tenendo frequenti seminari in Italia ed
all’estero. Ć morto nel 1997.
Comunicazione e potere
Una distinzione concettuale assolutamente fondamentale per comprendere il
pensiero e l’opera di Danilo Dolci ĆØ quella tra
trasmettere e comunicare. C’ĆØ
trasmissione, e non comunicazione, tutte le volte che il messaggio va
dall’emittente al destinatario, senza che quest’ultimo a sua volta possa
rispondere. Si tratta di un processo unidirezionale, che procede dall’alto al
basso. La comunicazione al contrario ĆØ caratterizzata dalla circolaritĆ : uno
parla, l’altro risponde. Nella comunicazione autentica c’ĆØ un mettere in
comune che manca nella trasmissione, che ha invece un carattere manipolativo.
I cosiddetti mass-media, denuncia Dolci, non sono in realtĆ mezzi di
comunicazione di massa, poichƩ
la comunicazione di massa non esiste
(questo ĆØ il titolo di un suo libro del 1995). Essi sono, piuttosto, mezzi di
massa, ossia strumenti attraverso i quali le persone vengono massificate,
indotte al conformismo, rese passive e pronte alle esigenze del mercato.
Qualcosa di non troppo diverso accade per Dolci nella scuola. Anche a scuola
gli scambi comunicativi hanno un carattere unidirezionale. La lezione
frontale, che ĆØ il metodo ancora dominante nelle scuole, non ĆØ comunicazione,
ma semplice trasmissione. Lo studente non ha la possibilitĆ di esprimersi, di
contribuire alla costruzione del sapere, ma si limita a registrare le
informazioni trasmesse. Al tempo stesso, la scuola educa alla sottomissione ed
all’ipocrisia; in essa, scrive Dolci, i giovani non imparano “nĆ© a comunicare
davvero nƩ a esercitare il proprio potere. Imparano usualmente a divenire
esecutori”.
Per Dolci comunicare in modo autentico, pieno, ĆØ l’esigenza fondamentale
dell’essere umano. Se questa esigenza non viene soddisfatta, se alla
comunicazione si sostituisce la trasmissione, si ha una societĆ malata di
rapporti sbagliati. La scuola contribuisce al male, invece di curarlo
insegnando a comunicare. Nel passo citato Dolci dice che nella scuola i
giovani non imparano ad esercitare il proprio potere. Nella sua analisi, il
potere ĆØ una cosa positiva: va inteso come possibilitĆ di fare, di realizzare
le proprie potenzialitĆ , di esprimere sĆ© stessi. Dal potere bisogna
distinguere il dominio, che ĆØ la sua degenerazione. Si ha dominio quando la
possibilitĆ di fare di alcuni cresce sopra la possibilitĆ di fare degli altri;
quando, cioĆØ, ad alcuni ĆØ possibile e lecito ciĆ² che ad altri ĆØ vietato. Il
potere richiede uguaglianza e reciprocitĆ , mentre il dominio si nutre di
rapporti asimmetrici e gerarchici. Ć chiaro che il potere si lega alla
comunicazione, cosƬ come il dominio si manifesta attraverso la trasmissione.
Questa doppia distinzione terminologica contiene le premesse da cui si
sviluppa logicamente il progetto educativo di Dolci.
Educazione autentica e liberatrice ĆØ quella che consente alle persone di
comunicare in modo profondo conquistando il proprio potere personale e
comunitario, contro ogni forma di dominio e disuguaglianza. Come si vede, si
tratta di un progetto che ĆØ al tempo stesso educativo e politico.
La maieutica reciproca
Il metodo della maieutica reciproca ĆØ nato in modo spontaneo negli anni
Cinquanta, durante il lavoro con i contadini ed i pescatori di Trappeto. Per
mettere a fuoco i problemi della zona Dolci tiene delle riunioni nelle quali
viene favorita la piĆ¹ larga partecipazione di tutti, bambini compresi. Le
sedie vengono messe in cerchio per agevolare la circolaritĆ dello scambio
comunicativo. Gradualmente la gente impara cosƬ a prendere la parola, a dire
la sua sui problemi della zona, a progettare il cambiamento. Nelle riunioni si
passa progressivamente dalla considerazione di casi concreti a questioni via
via piĆ¹ generali, fino a discutere la realtĆ sociale (ad esempio i rapporti di
genere) o questioni filosofiche ed etiche.
L’espressione maieutica reciproca rimanda al metodo di Socrate. La differenza
ĆØ nell’aggettivo: la maieutica diventa reciproca perchĆ© la veritĆ non ĆØ nel
soggetto, ma viene cercata attraverso il dialogo. In un seminario maieutico
ognuno partecipa insieme agli altri alla
ricerca comune della veritĆ .
La dinamica ĆØ semplice: messe le sedie in cerchio, il conduttore presenta
brevemente il tema di discussione, quindi chiede a tutti i partecipanti di
esprimersi. Quando tutti hanno espresso la propria opinione si apre la
discussione libera. Alla fine il conduttore, che dovrĆ aver cura di non
influenzare la discussione con il proprio intervento, trarrĆ le conclusioni
evidenziando i punti comuni emersi, ed eventualmente rimandando ad un prossimo
seminario le questioni che restano da approfondire.
Nella situazione in cui nasce, il metodo della maieutica reciproca, che ha piĆ¹
di qualche punto in comune con i Circoli di cultura di
Paulo Freire, ĆØ una
metodologia efficace per l’empowerment e la coscientizzazione. Attraverso le
assidue discussioni, i poveri imparano a prendere la parola, ad esprimere il
proprio punto di vista, a porsi problemi insoliti, ad organizzarsi, a
ridiscutere i ruoli sociali. Educandosi l’un l’altro, diventano soggetti
politici.
Ma per Dolci il metodo non ĆØ valido solo per lo sviluppo comunitario nelle
zone depresse. Introdotto nelle scuole, esso puĆ² consentire il passaggio da
una scuola trasmissiva, sostanzialmente diseducativa, ad una scuola
comunicativa. L’introduzione della maieutica reciproca comporta un cambiamento
radicale nel modo di pensare il rapporto tra docenti ed alunni: non piĆ¹ un
rapporto asimmetrico, di dominio, ma una relazione aperta, di ricerca comune.
Il sapere non viene piĆ¹ semplicemente trasmesso (si pensi alla concezione
depositaria di Freire), ma riscoperto, ricostruito attraverso il dialogo. Solo
in questo modo ĆØ possibile realizzare un apprendimento significativo e
superare quel misto di individualismo e di conformismo che rende cosƬ
moralmente deprimente l’atmosfera della scuola tradizionale.
Mirto
In accordo con il principio di partecipazione che ispira la pedagogia di
Dolci, il centro educativo di Mirto viene progettato attraverso una serie di
incontri maieutici con i soggetti interessati: i bambini e gli adolescenti, i
genitori, gli insegnanti, gli esperti. Da questi incontri, trascritti nel
volume ChissĆ se i pesci piangono (1973), emerge il profilo di massima
del centro educativo: i bambini chiedono che esso sia immerso nella natura,
lontano dai rumori della cittĆ , gli studenti liceali chiedono l’abolizione del
voto e della bocciatura, il dialogo aperto con gli insegnanti, la possibilitĆ
di sentirsi sĆ© stessi, mentre da altri incontri emerge l’esigenza che gli
studenti partecipino a tutte le decisioni. Sintetizzando il risultato degli
incontri maieutici, Dolci afferma che il centro educativo dovrĆ
partire dagli interessi vitali degli studenti, che perĆ² non sono immediatamente dati, ma vanno scoperti grazie al
necessario intervento maieutico dell’insegnante, il quale sarĆ un coordinatore
dei gruppi di ricerca. L’apprendimento ha due momenti essenziali: la scoperta
individuale, che ĆØ resa possibile dall’osservazione dell’ambiente, e il
processo maieutico in gruppo, che educa al dialogo ed alla ricerca comune, che
ĆØ essenziale per una societĆ autenticamente democratica. Il centro, benchĆ©
immerso nella natura e separato dalla cittĆ , ĆØ intimamente legato alla
comunitĆ locale ed ai suoi problemi. I genitori degli studenti sono
attivamente coinvolti nell’insegnamento, e l’esperienza di tutti ĆØ considerata
una risorsa da valorizzare. In un seminario preparatorio sul cielo, ad
esempio, vengono invitati a parlare un astronomo, un contadino ed un
marinaio.
Questo legame con la comunitĆ locale non implica alcun localismo, perchĆ© al
tempo stesso il centro educa a sentirsi cittadini del mondo, in particolare
con l’insegnamento delle lingue: l’inglese, ma anche il russo e gli ideogrammi
cinesi. PoichĆ© non ĆØ possibile alcun apprendimento reale senza interesse,
nessuno dovrĆ essere costretto a frequentare il centro educativo. I bambini
dovranno essere spontaneamente attirati da Mirto; dovranno andarci con
piacere, non per dovere. Questo, nelle linee essenziali, il progetto del
centro educativo. La sua realizzazione effettiva ĆØ impacciata da mille
ostacoli, non ultimo, probabilmente, il fatto che principi educativi cosƬ
avanzati non sono condivisi in pieno dalla comunitĆ locale.
Il progetto prevede un percorso che va fino alla scuola secondaria superiore,
ma le difficoltĆ economiche limitano la sperimentazione alla sola scuola
dell’infanzia. Entro questi limiti, la sperimentazione si dimostra di grande
interesse, in particolare per la piena valorizzazione dell’ambiente come fonte
di conoscenza. Ma la scuola dell’infanzia ĆØ quella nella quale ĆØ piĆ¹ facile
evitare la lezione frontale, la programmazione, i voti, e fondare la prassi
didattica sull’osservazione; molto piĆ¹ difficile ĆØ farlo alla scuola primaria
e soprattutto secondaria. Il centro di Mirto, quale esperimento attraverso il
quale mostrare le potenzialitĆ educative e didattiche della maieutica
reciproca, resta in gran parte una occasione mancata, mentre la
sperimentazione nella scuola pubblica resta marginale e poco influente.